La guida di Maria Luisa

Maria Luisa & Marcello
Maria Luisa & Marcello
La guida di Maria Luisa

Luoghi da visitare

Marsala era definita "la città dalle cento chiese" quindi vi daremo alcune indicazioni su alcune di queste. Molte sono andate distrutte durante il bombardamento della Seconda Guerra Mondiale (11/05/1943).
La costruzione della Chiesa Madre di Marsala è legata alla leggenda secondo cui una nave che portava in Inghilterra delle colonne corinzie, per edificare una chiesa in onore di San Tommaso di Canterbury, trascinata da venti contrari approdò a Marsala. I cittadini pensarono ad un segno della volontà celeste e così utilizzarono quelle colonne per un tempio in onore del santo inglese. Più verosimile è che il culto di Tommaso Becket sia stato diffuso in Sicilia da Giovanna Plantageneta, figlia del re d’Inghilterra Enrico II, la quale volle espiare le colpe del padre accusato di aver fatto uccidere il vescovo mentre celebrava la messa, facendo così consacrare al santo alcune chiese in Sicilia. Poiché Giovanna nel 1177 giunse nell' isola per sposare Guglielmo II e il suo regno terminò nel 1189 con la morte del marito, è probabile che la Chiesa Madre di Marsala fu consacrata tra queste due date. Scarsi sono i documenti per definire le vicende della costruzione dell’edificio nel medioevo. Per tutto il XVI secolo, fino al 1590, fu ingrandito per ben tre volte, ma gli sforzi per poter disporre di una grande chiesa non furono sufficienti e così nel 1607 il consiglio civico decise di costruire un edificio ancora più ampio. I lavori andarono molto a rilento e subirono numerose vicissitudini fino al 1827, anno del completamento della cupola che però era tanto pesante da ingenerare negli anni forti preoccupazioni sulla sua tenuta. Il 9 febbraio 1893, infine, la cupola crollò provocando ingenti danni collaterali. Subito iniziarono i lavori di ricostruzione e la chiesa fu riaperta al culto nel 1903 seppure con una copertura provvisoria. Ma la crisi economica e le due guerre mondiali fecero passare in secondo piano l’idea di ricostruire la cupola. Solo nel 1947, grazie all’ iniziativa di Monsignor Pasquale Lombardo, un marsalese emigrato in America ai primi del ‘900, la cupola fu costruita e completata nel 1951. Nel corso dei secoli, la Chiesa Madre ha accolto, nei suoi altari e nelle sue cappelle, dipinti, sculture e oggetti sacri, anche provenienti da chiese distrutte o sconsacrate, attraverso i quali è possibile tracciare un profilo della cultura artistica siciliana dal XV secolo in poi. Importante è stata la presenza e l’opera di Domenico Gagini e del figlio Antonello, che hanno introdotto nell’ambiente gotico-fiorito siciliano i nuovi temi rinascimentali. E la fortuna commerciale della bottega gaginesca ebbe l’effetto di attirare numerosi artisti provenienti dal Nord d’Italia.
Piazza Loggia - Chiesa Madre
3 Via XI Maggio
La costruzione della Chiesa Madre di Marsala è legata alla leggenda secondo cui una nave che portava in Inghilterra delle colonne corinzie, per edificare una chiesa in onore di San Tommaso di Canterbury, trascinata da venti contrari approdò a Marsala. I cittadini pensarono ad un segno della volontà celeste e così utilizzarono quelle colonne per un tempio in onore del santo inglese. Più verosimile è che il culto di Tommaso Becket sia stato diffuso in Sicilia da Giovanna Plantageneta, figlia del re d’Inghilterra Enrico II, la quale volle espiare le colpe del padre accusato di aver fatto uccidere il vescovo mentre celebrava la messa, facendo così consacrare al santo alcune chiese in Sicilia. Poiché Giovanna nel 1177 giunse nell' isola per sposare Guglielmo II e il suo regno terminò nel 1189 con la morte del marito, è probabile che la Chiesa Madre di Marsala fu consacrata tra queste due date. Scarsi sono i documenti per definire le vicende della costruzione dell’edificio nel medioevo. Per tutto il XVI secolo, fino al 1590, fu ingrandito per ben tre volte, ma gli sforzi per poter disporre di una grande chiesa non furono sufficienti e così nel 1607 il consiglio civico decise di costruire un edificio ancora più ampio. I lavori andarono molto a rilento e subirono numerose vicissitudini fino al 1827, anno del completamento della cupola che però era tanto pesante da ingenerare negli anni forti preoccupazioni sulla sua tenuta. Il 9 febbraio 1893, infine, la cupola crollò provocando ingenti danni collaterali. Subito iniziarono i lavori di ricostruzione e la chiesa fu riaperta al culto nel 1903 seppure con una copertura provvisoria. Ma la crisi economica e le due guerre mondiali fecero passare in secondo piano l’idea di ricostruire la cupola. Solo nel 1947, grazie all’ iniziativa di Monsignor Pasquale Lombardo, un marsalese emigrato in America ai primi del ‘900, la cupola fu costruita e completata nel 1951. Nel corso dei secoli, la Chiesa Madre ha accolto, nei suoi altari e nelle sue cappelle, dipinti, sculture e oggetti sacri, anche provenienti da chiese distrutte o sconsacrate, attraverso i quali è possibile tracciare un profilo della cultura artistica siciliana dal XV secolo in poi. Importante è stata la presenza e l’opera di Domenico Gagini e del figlio Antonello, che hanno introdotto nell’ambiente gotico-fiorito siciliano i nuovi temi rinascimentali. E la fortuna commerciale della bottega gaginesca ebbe l’effetto di attirare numerosi artisti provenienti dal Nord d’Italia.
Anche la costruzione della Chiesa di Sant'Antonino a Marsala, come molte altre, sarebbe legata ad un fatto miracoloso. Nel 1563, alcuni bambini giocavano a tirare pietre contro un muro della chiesa intitolata a nostra Signora la Raccomandata, in rovina a causa dei soldati spagnoli di Carlo V. A poco a poco quel muro si aprì e ne venne fuori il colore vermiglio dell’Immagine di Maria con Bambino che sorreggeva il mondo. Per custodire quell’immagine miracolosa, fu deciso allora di erigere una chiesa che conservò a lungo il titolo di S. Maria dei Miracoli, poi cambiato in Sant’Antonio per via di una statua del santo dei miracoli che i frati Francescani collocarono nell’altare maggiore. La facciata è molto semplice, caratterizzata dal portale di gusto barocco formato da due semicolonne con capitelli corinzi che sorreggono una cornice, base del frontone e di una nicchia centrale in cui è inserita la statua di Sant’Antonio da Padova. Sopra, in asse col portale, una finestra architravata è sormontata da un fastigio recante il simbolo dei francescani, due braccia incrociate con la croce in mezzo. Anche l’interno è semplice, ad una sola navata preceduta da un vestibolo a portico su cui poggia la cantoria. L’altare maggiore è di legno e vetro dipinto, costruito tra il XVIII e il XIX secolo, e custodisce una statua del santo. Numerosi e pregevoli dipinti e affreschi del XVIII secolo adornano l’interno della chiesa. Ogni anno, per il triduo in onore di Sant’Antonio, la Chiesa è aperta ai fedeli.
Chiesa S. Antonino
Anche la costruzione della Chiesa di Sant'Antonino a Marsala, come molte altre, sarebbe legata ad un fatto miracoloso. Nel 1563, alcuni bambini giocavano a tirare pietre contro un muro della chiesa intitolata a nostra Signora la Raccomandata, in rovina a causa dei soldati spagnoli di Carlo V. A poco a poco quel muro si aprì e ne venne fuori il colore vermiglio dell’Immagine di Maria con Bambino che sorreggeva il mondo. Per custodire quell’immagine miracolosa, fu deciso allora di erigere una chiesa che conservò a lungo il titolo di S. Maria dei Miracoli, poi cambiato in Sant’Antonio per via di una statua del santo dei miracoli che i frati Francescani collocarono nell’altare maggiore. La facciata è molto semplice, caratterizzata dal portale di gusto barocco formato da due semicolonne con capitelli corinzi che sorreggono una cornice, base del frontone e di una nicchia centrale in cui è inserita la statua di Sant’Antonio da Padova. Sopra, in asse col portale, una finestra architravata è sormontata da un fastigio recante il simbolo dei francescani, due braccia incrociate con la croce in mezzo. Anche l’interno è semplice, ad una sola navata preceduta da un vestibolo a portico su cui poggia la cantoria. L’altare maggiore è di legno e vetro dipinto, costruito tra il XVIII e il XIX secolo, e custodisce una statua del santo. Numerosi e pregevoli dipinti e affreschi del XVIII secolo adornano l’interno della chiesa. Ogni anno, per il triduo in onore di Sant’Antonio, la Chiesa è aperta ai fedeli.
La Chiesa di San Giuseppe a Marsala sorge tra piazza Loggia e la via XI Maggio questa chiesa edificata dai confrati dell’Arciconfraternita di San Giuseppe nel XVI secolo, poi ingrandita notevolmente intorno al 1700. La facciata principale si affaccia sulla via XI Maggio ed è a due ordini separati da una cornice marcapiano. Spiccano il portale settecentesco in marmo grigio e pietra tufacea e, nel secondo ordine, un’ampia finestra architravata; infine, in alto, un timpano triangolare corona l’edificio. Il campanile, in posizione arretrata rispetto alla chiesa, è distinto, come la facciata principale, in due piani e culmina con una cupoletta quadrangolare rivestita di mattonelle verdi. L’interno della chiesa è di chiara impronta barocca, ad unica navata, con due cappelle per ciascun lato, ed è riccamente affrescato con storie della vita del Santo attribuite al pittore trapanese Giuseppe Felice. Nell’abside si possono apprezzare gli affreschi Lo sposalizio di San Giuseppe a sinistra e La morte di San Giuseppe a destra. Di gusto barocco sono anche evidenti sia il ricco ornamento con dorature ed elementi lignei finemente lavorati dell’altare maggiore, sia l’imponente organo posto in una cantoria di legno dipinto al centro della parete laterale, formato da ventisette canne suddivise in tre campate da nove canne ciascuna decrescenti verso i lati. Sulla parete di fronte corrisponde, per motivi di simmetria, vi è un’altra cantoria con organo finto.
Chiesa San Giuseppe
280 SP24
La Chiesa di San Giuseppe a Marsala sorge tra piazza Loggia e la via XI Maggio questa chiesa edificata dai confrati dell’Arciconfraternita di San Giuseppe nel XVI secolo, poi ingrandita notevolmente intorno al 1700. La facciata principale si affaccia sulla via XI Maggio ed è a due ordini separati da una cornice marcapiano. Spiccano il portale settecentesco in marmo grigio e pietra tufacea e, nel secondo ordine, un’ampia finestra architravata; infine, in alto, un timpano triangolare corona l’edificio. Il campanile, in posizione arretrata rispetto alla chiesa, è distinto, come la facciata principale, in due piani e culmina con una cupoletta quadrangolare rivestita di mattonelle verdi. L’interno della chiesa è di chiara impronta barocca, ad unica navata, con due cappelle per ciascun lato, ed è riccamente affrescato con storie della vita del Santo attribuite al pittore trapanese Giuseppe Felice. Nell’abside si possono apprezzare gli affreschi Lo sposalizio di San Giuseppe a sinistra e La morte di San Giuseppe a destra. Di gusto barocco sono anche evidenti sia il ricco ornamento con dorature ed elementi lignei finemente lavorati dell’altare maggiore, sia l’imponente organo posto in una cantoria di legno dipinto al centro della parete laterale, formato da ventisette canne suddivise in tre campate da nove canne ciascuna decrescenti verso i lati. Sulla parete di fronte corrisponde, per motivi di simmetria, vi è un’altra cantoria con organo finto.
La Chiesa di San Pietro a Marsala (oggi chiusa al culto) è inserita nell’omonimo Complesso Monumentale fondato dalla nobildonna Adeodata nel 595 d.C. trasformando la propria abitazione in monastero. Sul finire del XIII secolo, con l’arrivo a Marsala dei padri Domenicani, il monastero subì un deciso ampliamento e vi fu aggiunta la Chiesa dedicata a San Pietro. La facciata principale fu costruita nel 1569 ed è dominata da un ampio rosone a raggiera di balaustrine con il risultato di creare un bell’effetto di movimento e di alleggerimento della struttura. Il portale è sormontato da un frontone triangolare di evidente gusto rinascimentale, che imprime alla struttura un certo carattere monumentale, nel quale sono raffigurate le chiavi e la tiara, simboli di San Pietro primo papa. L’interno della Chiesa, a pianta basilicale ad unica navata, dispone di quattro altari laterali e di un’abside quadrata. Sopra il portico d’ingresso, definito da tre archi appoggiati su due colonne, è collocato il coro che presenta una balconata in legno e una inferriata settecentesca. Da notare, sempre a destra dell’ingresso, una elegante acquasantiera del 1583 di scuola gaginesca. Sulla volta della Chiesa si può ormai solo intravedere ciò che resta di un affresco del pittore trapanese Domenico La Bruna. Sull’altare maggiore, infine, sormontato da una cupola semisferica, si trova una tela raffigurante i Santi Pietro e Paolo risalente al XVII secolo.
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Complesso Monumentale di San Pietro
12 Via Ludovico Anselmi Correale
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La Chiesa di San Pietro a Marsala (oggi chiusa al culto) è inserita nell’omonimo Complesso Monumentale fondato dalla nobildonna Adeodata nel 595 d.C. trasformando la propria abitazione in monastero. Sul finire del XIII secolo, con l’arrivo a Marsala dei padri Domenicani, il monastero subì un deciso ampliamento e vi fu aggiunta la Chiesa dedicata a San Pietro. La facciata principale fu costruita nel 1569 ed è dominata da un ampio rosone a raggiera di balaustrine con il risultato di creare un bell’effetto di movimento e di alleggerimento della struttura. Il portale è sormontato da un frontone triangolare di evidente gusto rinascimentale, che imprime alla struttura un certo carattere monumentale, nel quale sono raffigurate le chiavi e la tiara, simboli di San Pietro primo papa. L’interno della Chiesa, a pianta basilicale ad unica navata, dispone di quattro altari laterali e di un’abside quadrata. Sopra il portico d’ingresso, definito da tre archi appoggiati su due colonne, è collocato il coro che presenta una balconata in legno e una inferriata settecentesca. Da notare, sempre a destra dell’ingresso, una elegante acquasantiera del 1583 di scuola gaginesca. Sulla volta della Chiesa si può ormai solo intravedere ciò che resta di un affresco del pittore trapanese Domenico La Bruna. Sull’altare maggiore, infine, sormontato da una cupola semisferica, si trova una tela raffigurante i Santi Pietro e Paolo risalente al XVII secolo.
Visitare Mozia, la magnifica perla al centro della Riserva Naturale dello Stagnone di Marsala e proprio di fronte alle saline, significa immergersi silenziosamente in un tempo antico, dove si respira e si tocca la storia delle nostre origini. Dopo la sua completa distruzione ad opera del tiranno di Siracusa Dionisio IV nel 397 a.C., proprio nel momento del suo massimo splendore, i superstiti cartaginesi e fenici si rifugiarono sul promontorio di Lilibeo fondando Marsala e abbandonando l’idea di ricostruire la città-isola. Proprio per questo Mozia è giunta a noi quasi intatta, pressoché ferma a quel 397 a.C., e ci ha regalato e continua a regalarci un patrimonio archeologico di immenso valore, sebbene solo in parte tornato sinora alla luce. Per giungere sull’isola è necessario compiere una brevissima traversata partendo da uno dei due imbarcaderi posti proprio di fronte ad essa. Il Giovinetto di Mozia Il Giovinetto di Mozia Appena sbarcati, un viale immerso nella tipica vegetazione conduce al museo, da dove parte il nostro itinerario. La vecchia casa di campagna di Whitaker, da lui stesso poi trasformata in museo, è la sede naturale della famosissima statua dell’Auriga che, in occasione delle olimpiadi di Londra 2012, è stata esposta al British Museum nella prestigiosa sala del Partenone. Uscendo da museo, inizia la nostra camminata che si snoda lungo il perimetro di Mozia procedendo in senso orario. A poche decine di metri dal museo incontriamo la casa dei mosaici, edificio risalente al VI sec. a.C., chiamata dal Whitaker “casa dei capitelli” per la grande quantità di questi elementi architettonici rinvenuta. Seguendo il sentiero che costeggia il mare da una parte e le mura dall’altra, si giunge alla casermetta, addossata all’esterno di una grande torre della cinta muraria. Proseguendo, poco più avanti, incontriamo la porta sud, uno dei 4 accessi alla città, e il Cothon, con il grande bacino artificiale e l’area sacra attigua, ancora oggetto di scavi e approfonditi studi. Dal Cothon, seguendo il sentiero che costeggia il mare o tagliando attraverso l’interno, si giunge alla fortezza occidentale, posizionata sul lato occidentale della porta ovest. Poco più avanti troviamo il Tofet, il tipico santuario fenicio-punico a cielo aperto, e ancora più avanti la necropoli della fase arcaica, le cui sepolture risalgono al periodo compreso tra la fine dell’VIII sec. e il VII sec. a.C. e sono caratterizzate da tre tipi di cinerari. Lasciando la necropoli e proseguendo, è l’imponente Porta Nord ad attirare la nostra attenzione, il principale ingresso alla città dotato di due possenti bastioni avanzati. Da essa parte la strada sommersa che conduceva alla necropoli di Birgi. Dalla Porta Nord, seguendo la strada che conduce verso l’interno della città-isola, si giunge all’areaMozia: la torre orientale Mozia: la torre orientale sacra del santuario di Cappiddazzu e, nelle immediate vicinanze, nelle aree industriali, destinate alla lavorazione della ceramica e alla concia e colorazione di pelli e tessuti, in uso già dal VII sec. a.C. In una di queste, quella a nord del santuario di Cappiddazzu, è stato ritrovato il giovane auriga di Mozia. Tornando alla Porta Nord e riprendendo il periplo dell’isola, incontriamo lunghi tratti delle antiche mura della città fino alla grande Torre Orientale (foto a destra), perfettamente recuperata, dotata di una scala esterna che conduceva direttamente sullo Stagnone. Proseguendo sul sentiero lungo il mare, si giunge così all'imbarcadero di Mozia, da dove è iniziato il nostro percorso e nei pressi del quale è stata individuata la porta Est dell’antica città, ancora del tutto da indagare.
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Mozia
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Visitare Mozia, la magnifica perla al centro della Riserva Naturale dello Stagnone di Marsala e proprio di fronte alle saline, significa immergersi silenziosamente in un tempo antico, dove si respira e si tocca la storia delle nostre origini. Dopo la sua completa distruzione ad opera del tiranno di Siracusa Dionisio IV nel 397 a.C., proprio nel momento del suo massimo splendore, i superstiti cartaginesi e fenici si rifugiarono sul promontorio di Lilibeo fondando Marsala e abbandonando l’idea di ricostruire la città-isola. Proprio per questo Mozia è giunta a noi quasi intatta, pressoché ferma a quel 397 a.C., e ci ha regalato e continua a regalarci un patrimonio archeologico di immenso valore, sebbene solo in parte tornato sinora alla luce. Per giungere sull’isola è necessario compiere una brevissima traversata partendo da uno dei due imbarcaderi posti proprio di fronte ad essa. Il Giovinetto di Mozia Il Giovinetto di Mozia Appena sbarcati, un viale immerso nella tipica vegetazione conduce al museo, da dove parte il nostro itinerario. La vecchia casa di campagna di Whitaker, da lui stesso poi trasformata in museo, è la sede naturale della famosissima statua dell’Auriga che, in occasione delle olimpiadi di Londra 2012, è stata esposta al British Museum nella prestigiosa sala del Partenone. Uscendo da museo, inizia la nostra camminata che si snoda lungo il perimetro di Mozia procedendo in senso orario. A poche decine di metri dal museo incontriamo la casa dei mosaici, edificio risalente al VI sec. a.C., chiamata dal Whitaker “casa dei capitelli” per la grande quantità di questi elementi architettonici rinvenuta. Seguendo il sentiero che costeggia il mare da una parte e le mura dall’altra, si giunge alla casermetta, addossata all’esterno di una grande torre della cinta muraria. Proseguendo, poco più avanti, incontriamo la porta sud, uno dei 4 accessi alla città, e il Cothon, con il grande bacino artificiale e l’area sacra attigua, ancora oggetto di scavi e approfonditi studi. Dal Cothon, seguendo il sentiero che costeggia il mare o tagliando attraverso l’interno, si giunge alla fortezza occidentale, posizionata sul lato occidentale della porta ovest. Poco più avanti troviamo il Tofet, il tipico santuario fenicio-punico a cielo aperto, e ancora più avanti la necropoli della fase arcaica, le cui sepolture risalgono al periodo compreso tra la fine dell’VIII sec. e il VII sec. a.C. e sono caratterizzate da tre tipi di cinerari. Lasciando la necropoli e proseguendo, è l’imponente Porta Nord ad attirare la nostra attenzione, il principale ingresso alla città dotato di due possenti bastioni avanzati. Da essa parte la strada sommersa che conduceva alla necropoli di Birgi. Dalla Porta Nord, seguendo la strada che conduce verso l’interno della città-isola, si giunge all’areaMozia: la torre orientale Mozia: la torre orientale sacra del santuario di Cappiddazzu e, nelle immediate vicinanze, nelle aree industriali, destinate alla lavorazione della ceramica e alla concia e colorazione di pelli e tessuti, in uso già dal VII sec. a.C. In una di queste, quella a nord del santuario di Cappiddazzu, è stato ritrovato il giovane auriga di Mozia. Tornando alla Porta Nord e riprendendo il periplo dell’isola, incontriamo lunghi tratti delle antiche mura della città fino alla grande Torre Orientale (foto a destra), perfettamente recuperata, dotata di una scala esterna che conduceva direttamente sullo Stagnone. Proseguendo sul sentiero lungo il mare, si giunge così all'imbarcadero di Mozia, da dove è iniziato il nostro percorso e nei pressi del quale è stata individuata la porta Est dell’antica città, ancora del tutto da indagare.
Fu il vescovo di Messina Antonio Lombardo, il 10 luglio 1589, a donare alla Chiesa Madre della sua città natale otto magnifici arazzi fiamminghi a condizione che essi rimanessero sempre all’interno di essa, pena la loro devoluzione alla Curia vescovile di Mazara. Per quasi quattro secoli questi splendidi arazzi non furono mai esposti stabilmente in adeguati locali salvo esporli pubblicamente in rarissime occasioni. Nel XIX secolo, addirittura, un arciprete della Chiesa Madre cercò di venderli. Solo nel 1984, grazie al deciso e appassionato impegno dell’arciprete Andrea Linares, gli arazzi hanno ottenuto una sistemazione in un piccolo e suggestivo museo, attiguo all’abside della Matrice, in via Garraffa, e gestito dall’Associazione degli amici del Museo degli Arazzi. Si deve all’arciprete Calogero Cusumano, nel 1937, il primo serio studio interpretativo degli avvenimenti rappresentati negli arazzi che ha attribuito alla Guerra Giudaica il motivo ispiratore dell’autore dei cartelloni, guerra condotta nel I sec. d.C. da Giuseppe Flavio che di quelle vicende fu insieme protagonista e storico. Dopo un serio restauro compiuto a Firenze tra il 1965 e il 1979, nel 1980 Nicole Dacos individuò nel pittore fiammingo Peeter Kempeneer (meglio conosciuto come Pietro Campana) l’autore dei cartelloni, che vennero poi realizzati nella bottega di Cornelis Tons a Bruxelles, uno dei tappezzieri più attivo nelle Fiandre nella seconda metà del XVI secolo. Questa rara e organica serie di otto teli in lana e seta è senza dubbio di notevolissimo valore artistico e storico; gli arazzi sono stati eseguiti con una perfetta padronanza tecnica, in essi le scene risaltano al visitatore per lo scrupolo nella cura del particolare e per la vivacità dei colori, per l’espressione e vitalità dei personaggi rappresentati e per l’effetto prospettico. In primo piano risaltano sempre figure quasi monumentali, tipiche dell’influenza michelangiolesca, mentre il paesaggio è dettagliatamente curato secondo la cultura fiamminga. Ogni arazzo è poi circondato da un’ampia e ricca cornice ornamentale composta di figure mitologiche e antropomorfe, frutti e motivi floreali. I quadri rappresentati, come detto, si rifanno alla Guerra Giudaica che scoppiò nel 66 d.C. con l’insurrezione della Giudea contro l’occupazione romana dell’Imperatore Nerone nella speranza che si accendesse nell’area un fuoco tale che i romani non potessero più estinguere. L’esercito romano fu affidato al grande Vespasiano che, insieme al figlio Tito, procedette contro i ribelli giudaici. Le scene si prestano ad un'interpretazione di tipo allegorico secondo la quale gli episodi narrati si riferirebbero piuttosto alla lotta di religione condotta dai reali di Spagna Carlo V e Filippo II contro i protestanti dei Paesi Bassi, Fiamminghi e Germanici, lotta che affermò il trionfo della religione cattolica. Infatti, in molti casi, l'iconografia non rispetta la cultura ebraica e romana di quell'epoca e i costumi, i riferimenti, gli oggetti sono riconducibili piuttosto al periodo di realizzazione. Tale interpretazione non è comunque generalmente condivisa. Museo degli Arazzi fiamminghi Via Giuseppe Garraffa Tel. 0923.711327 Aperto dalle 9.00 alle 13 e dalle 16.00 alle 18.00 - Chiuso il lunedì email: museodegliarazzimarsala@yahoo.it Ingresso: 4,00 €
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Museo degli Arazzi Fiamminghi
57 Via Giuseppe Garraffa
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Fu il vescovo di Messina Antonio Lombardo, il 10 luglio 1589, a donare alla Chiesa Madre della sua città natale otto magnifici arazzi fiamminghi a condizione che essi rimanessero sempre all’interno di essa, pena la loro devoluzione alla Curia vescovile di Mazara. Per quasi quattro secoli questi splendidi arazzi non furono mai esposti stabilmente in adeguati locali salvo esporli pubblicamente in rarissime occasioni. Nel XIX secolo, addirittura, un arciprete della Chiesa Madre cercò di venderli. Solo nel 1984, grazie al deciso e appassionato impegno dell’arciprete Andrea Linares, gli arazzi hanno ottenuto una sistemazione in un piccolo e suggestivo museo, attiguo all’abside della Matrice, in via Garraffa, e gestito dall’Associazione degli amici del Museo degli Arazzi. Si deve all’arciprete Calogero Cusumano, nel 1937, il primo serio studio interpretativo degli avvenimenti rappresentati negli arazzi che ha attribuito alla Guerra Giudaica il motivo ispiratore dell’autore dei cartelloni, guerra condotta nel I sec. d.C. da Giuseppe Flavio che di quelle vicende fu insieme protagonista e storico. Dopo un serio restauro compiuto a Firenze tra il 1965 e il 1979, nel 1980 Nicole Dacos individuò nel pittore fiammingo Peeter Kempeneer (meglio conosciuto come Pietro Campana) l’autore dei cartelloni, che vennero poi realizzati nella bottega di Cornelis Tons a Bruxelles, uno dei tappezzieri più attivo nelle Fiandre nella seconda metà del XVI secolo. Questa rara e organica serie di otto teli in lana e seta è senza dubbio di notevolissimo valore artistico e storico; gli arazzi sono stati eseguiti con una perfetta padronanza tecnica, in essi le scene risaltano al visitatore per lo scrupolo nella cura del particolare e per la vivacità dei colori, per l’espressione e vitalità dei personaggi rappresentati e per l’effetto prospettico. In primo piano risaltano sempre figure quasi monumentali, tipiche dell’influenza michelangiolesca, mentre il paesaggio è dettagliatamente curato secondo la cultura fiamminga. Ogni arazzo è poi circondato da un’ampia e ricca cornice ornamentale composta di figure mitologiche e antropomorfe, frutti e motivi floreali. I quadri rappresentati, come detto, si rifanno alla Guerra Giudaica che scoppiò nel 66 d.C. con l’insurrezione della Giudea contro l’occupazione romana dell’Imperatore Nerone nella speranza che si accendesse nell’area un fuoco tale che i romani non potessero più estinguere. L’esercito romano fu affidato al grande Vespasiano che, insieme al figlio Tito, procedette contro i ribelli giudaici. Le scene si prestano ad un'interpretazione di tipo allegorico secondo la quale gli episodi narrati si riferirebbero piuttosto alla lotta di religione condotta dai reali di Spagna Carlo V e Filippo II contro i protestanti dei Paesi Bassi, Fiamminghi e Germanici, lotta che affermò il trionfo della religione cattolica. Infatti, in molti casi, l'iconografia non rispetta la cultura ebraica e romana di quell'epoca e i costumi, i riferimenti, gli oggetti sono riconducibili piuttosto al periodo di realizzazione. Tale interpretazione non è comunque generalmente condivisa. Museo degli Arazzi fiamminghi Via Giuseppe Garraffa Tel. 0923.711327 Aperto dalle 9.00 alle 13 e dalle 16.00 alle 18.00 - Chiuso il lunedì email: museodegliarazzimarsala@yahoo.it Ingresso: 4,00 €
Sul lungomare, in prossimità di Capo Boeo, sorge il Baglio Anselmi, ex stabilimento vinicolo risalente agli inizi del XIX secolo, nel quale dal 31 maggio 1985 ha sede il Museo archeologico. Il baglio è costituito da corpi di fabbrica aperti su di un ampio cortile interno. Gli spazi espositivi del museo sono quelli dei due grandi magazzini del baglio dove venivano stivate le botti. Nel cortile interno è visibile un saggio di scavo che ha portato alla luce una tomba, una fornace e strutture murarie che documentano la notevole frequentazione dell'area sin dal IV sec. a.C.. Il museo espone il relitto di una nave punica e illustra la storia di Lilibeo e del territorio storicamente ad essa connesso, dalla preistoria al medioevo. I resti della storica imbarcazione (risalente alla metà del III sec. a.C., periodo della I Guerra Punica) sono stati recuperati nel 1971 nel tratto di mare al largo dell'Isola Lunga, in prossimità di Punta Scario, all'imboccatura nord della Laguna dello Stagnone di Marsala. Relitto di una nave punica Relitto di una nave punica Se il ritrovamento dell'imbarcazione ha da un lato rappresentato il motivo determinante per la realizzazione di un museo, da tempo ritenuto indispensabile per la città, ove custodire anche tanti altri reperti archeologici provenienti dal territorio marsalese, dall’altro ha avuto senza dubbio un grande valore documentale, perché ha permesso di conoscere il sistema di costruzione navale dei Cartaginesi (dai Romani chiamati Punici), che aveva suscitato meraviglie nell'antichità per la velocità costruttiva della prefabbricazione in cantiere. Ogni asse della nave punica di Marsala reca inciso infatti un simbolo dell'alfabeto fenicio-punico utile ai carpentieri per il rapido assemblaggio dello scafo, proprio come per una moderna scatola di montaggio. Del relitto è stata recuperata solo la parte posteriore e parte della fiancata di babordo per una lunghezza di circa 10 metri e una larghezza di 3 metri. Da questi dati è stato calcolato che la nave, della stazza di circa 120 tonnellate, avesse una lunghezza complessiva di 35 metri e una larghezza massima di 4 metri e mezzo. Data la linea particolarmente slanciata nonché l’assenza di un carico, si è propensi a ritenere la nave un esemplare a remi da combattimento. Marco Tullio Cicerone Marco Tullio Cicerone A partire dal 1986, all'interno del Baglio Anselmi sono confluiti materiali provenienti dalle campagne di scavo condotte nell'area archeologica di Lilibeo dalla Sovrintendenza di Palermo e, dal 1987 in poi, dalla Sovrintendenza di Trapani, insieme ad un ristretto gruppo di reperti precedentemente conservati nel Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani e nel Museo Whitaker di Mozia. L'ordinamento dei reperti, ad un tempo cronologico e topografico, si articola per sezioni dove l'esposizione è introdotta da pannelli didattici che supportano efficacemente il visitatore nel suo percorso conoscitivo. Venere Callipigia Venere Callipigia Dal 2005, il Museo è stata impreziosito dall'esposizione della Venere Callipigia, una statua scolpita in un unico blocco di marmo cristallino, molto probabilmente di provenienza rodio-asiatica, ritrovata acefala nei pressi della Chiesa di San Giovanni Battista nel corso di una campagna di scavi. La statua, che nella sua interezza doveva misurare circa 1 metro e 70 cm di altezza, raffigura la dea Venere secondo il tipo di Afrodite (Callipigia = "dalle belle natiche"), una figura femminile nuda con vesti molto drappeggiate che lasciano scoperte le natiche. L’opera esalta le caratteristiche del mito di Afrodite, sottolineate dalla rotondità dei seni e del fondoschiena, evocatrice di bellezza e fecondità, riproducendo i segni della famosa Venere Landolina venerata a Siracusa. Per questo si ritiene che la statua sia una copia romana databile tra il I e il II sec. D.C. tratta dall’originale ellenistico del II sec. A.C. Orari di apertura: Museo (Lungomare Boeo, 30): domenica e festivi ore 9.00 - 13.30 (ultimo ingresso 13.00), da martedì a sabato ore 9.00 - 19.30 (ultimo ingresso 19.00) - Lunedì chiuso. Area archeologica (ingresso dal Museo): domenica e festivi ore 9.00 - 12.30, da martedì a sabato ore 9.00 - 18.30. Grotta della Sibilla - Chiesa di San Giovanni (ingresso dal Museo): da martedì a venerdì ore 9.00 - 13.00, visite su richiesta direttamente al museo Ipogeo di Crispia Salvia (via M. D’Azeglio, 41): da martedì a venerdì ore 9.00 - 13.00, visite su prenotazione tel. 0923.952535 Lunedì si osserva la chiusura totale.
Museo Archeologico Regionale Lilibeo Marsala - Baglio Anselmi
n° 30 Lungomare Boeo
Sul lungomare, in prossimità di Capo Boeo, sorge il Baglio Anselmi, ex stabilimento vinicolo risalente agli inizi del XIX secolo, nel quale dal 31 maggio 1985 ha sede il Museo archeologico. Il baglio è costituito da corpi di fabbrica aperti su di un ampio cortile interno. Gli spazi espositivi del museo sono quelli dei due grandi magazzini del baglio dove venivano stivate le botti. Nel cortile interno è visibile un saggio di scavo che ha portato alla luce una tomba, una fornace e strutture murarie che documentano la notevole frequentazione dell'area sin dal IV sec. a.C.. Il museo espone il relitto di una nave punica e illustra la storia di Lilibeo e del territorio storicamente ad essa connesso, dalla preistoria al medioevo. I resti della storica imbarcazione (risalente alla metà del III sec. a.C., periodo della I Guerra Punica) sono stati recuperati nel 1971 nel tratto di mare al largo dell'Isola Lunga, in prossimità di Punta Scario, all'imboccatura nord della Laguna dello Stagnone di Marsala. Relitto di una nave punica Relitto di una nave punica Se il ritrovamento dell'imbarcazione ha da un lato rappresentato il motivo determinante per la realizzazione di un museo, da tempo ritenuto indispensabile per la città, ove custodire anche tanti altri reperti archeologici provenienti dal territorio marsalese, dall’altro ha avuto senza dubbio un grande valore documentale, perché ha permesso di conoscere il sistema di costruzione navale dei Cartaginesi (dai Romani chiamati Punici), che aveva suscitato meraviglie nell'antichità per la velocità costruttiva della prefabbricazione in cantiere. Ogni asse della nave punica di Marsala reca inciso infatti un simbolo dell'alfabeto fenicio-punico utile ai carpentieri per il rapido assemblaggio dello scafo, proprio come per una moderna scatola di montaggio. Del relitto è stata recuperata solo la parte posteriore e parte della fiancata di babordo per una lunghezza di circa 10 metri e una larghezza di 3 metri. Da questi dati è stato calcolato che la nave, della stazza di circa 120 tonnellate, avesse una lunghezza complessiva di 35 metri e una larghezza massima di 4 metri e mezzo. Data la linea particolarmente slanciata nonché l’assenza di un carico, si è propensi a ritenere la nave un esemplare a remi da combattimento. Marco Tullio Cicerone Marco Tullio Cicerone A partire dal 1986, all'interno del Baglio Anselmi sono confluiti materiali provenienti dalle campagne di scavo condotte nell'area archeologica di Lilibeo dalla Sovrintendenza di Palermo e, dal 1987 in poi, dalla Sovrintendenza di Trapani, insieme ad un ristretto gruppo di reperti precedentemente conservati nel Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani e nel Museo Whitaker di Mozia. L'ordinamento dei reperti, ad un tempo cronologico e topografico, si articola per sezioni dove l'esposizione è introdotta da pannelli didattici che supportano efficacemente il visitatore nel suo percorso conoscitivo. Venere Callipigia Venere Callipigia Dal 2005, il Museo è stata impreziosito dall'esposizione della Venere Callipigia, una statua scolpita in un unico blocco di marmo cristallino, molto probabilmente di provenienza rodio-asiatica, ritrovata acefala nei pressi della Chiesa di San Giovanni Battista nel corso di una campagna di scavi. La statua, che nella sua interezza doveva misurare circa 1 metro e 70 cm di altezza, raffigura la dea Venere secondo il tipo di Afrodite (Callipigia = "dalle belle natiche"), una figura femminile nuda con vesti molto drappeggiate che lasciano scoperte le natiche. L’opera esalta le caratteristiche del mito di Afrodite, sottolineate dalla rotondità dei seni e del fondoschiena, evocatrice di bellezza e fecondità, riproducendo i segni della famosa Venere Landolina venerata a Siracusa. Per questo si ritiene che la statua sia una copia romana databile tra il I e il II sec. D.C. tratta dall’originale ellenistico del II sec. A.C. Orari di apertura: Museo (Lungomare Boeo, 30): domenica e festivi ore 9.00 - 13.30 (ultimo ingresso 13.00), da martedì a sabato ore 9.00 - 19.30 (ultimo ingresso 19.00) - Lunedì chiuso. Area archeologica (ingresso dal Museo): domenica e festivi ore 9.00 - 12.30, da martedì a sabato ore 9.00 - 18.30. Grotta della Sibilla - Chiesa di San Giovanni (ingresso dal Museo): da martedì a venerdì ore 9.00 - 13.00, visite su richiesta direttamente al museo Ipogeo di Crispia Salvia (via M. D’Azeglio, 41): da martedì a venerdì ore 9.00 - 13.00, visite su prenotazione tel. 0923.952535 Lunedì si osserva la chiusura totale.
L'Ente Mostra di Pittura Contemporanea "Città di Marsala", istituito nel 1963 per volontà del consiglio comunale, ha dal 1996 la propria sede nella suggestiva struttura del Convento del Carmine, completamente restaurata e strappata, così, al più totale abbandono in cui versava. Il Convento sarebbe stato fondato intorno alla metà del XIII secolo dai carmelitani, mentre della chiesa attigua dedicata a Maria SS. Annunziata, che insieme al convento e alla torre campanaria forma il complesso monumentale del Carmine, non si hanno documenti prima del XV secolo. Il bellissimo campanile ottagonale, in passato considerato una delle meraviglie del mondo perché oscillava al suono delle campane, fu riedificato dopo il crollo subito nel 1745 dall’architetto trapanese Giovanni Biagio Amico che lo ricostruì su tre ordini con una cupoletta ricoperta di mattonelle verdi e con una suggestiva scala a chiocciola interna. La bellissima struttura è sede dell’Ente Mostra di Pittura contemporanea che ha la funzione di promuovere l’attività artistico-culturale della città di Marsala. Le sue sale, che si affacciano su un incantevole chiostro interno, sono state dal 1996 degna sede sia di mostre di numerosi e prestigiosi artisti, tra cui ricordiamo Pomodoro, Corrado Cagli, Fausto Pirandello o Mario Sironi, sia di esposizioni sull’arte italiana e internazionale, come l’Arte in Sicilia negli anni Trenta o L’identità difficile – anni 50. L'Ente custodisce la Pinacoteca Comunale che, inaugurata nel 1988, conta oggi oltre 750 opere di artisti di prestigio nazionale ed internazionale fra i quali Cagli, Cantatore, Cassinari, Conti, Gentilini, Maccari, Marchegiani, Pomodoro, Sassu, Sironi, Tosi, Tozzi. Ente Mostra di Pittura Contemporanea Città di Marsala Piazza Carmine, 1 Tel./Fax 0923.711631 Orari di apertura: tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 18 alle ore 20. Ingresso: Libero
Ente Mostra Nazionale Di Pittura
Piazza del Carmine
L'Ente Mostra di Pittura Contemporanea "Città di Marsala", istituito nel 1963 per volontà del consiglio comunale, ha dal 1996 la propria sede nella suggestiva struttura del Convento del Carmine, completamente restaurata e strappata, così, al più totale abbandono in cui versava. Il Convento sarebbe stato fondato intorno alla metà del XIII secolo dai carmelitani, mentre della chiesa attigua dedicata a Maria SS. Annunziata, che insieme al convento e alla torre campanaria forma il complesso monumentale del Carmine, non si hanno documenti prima del XV secolo. Il bellissimo campanile ottagonale, in passato considerato una delle meraviglie del mondo perché oscillava al suono delle campane, fu riedificato dopo il crollo subito nel 1745 dall’architetto trapanese Giovanni Biagio Amico che lo ricostruì su tre ordini con una cupoletta ricoperta di mattonelle verdi e con una suggestiva scala a chiocciola interna. La bellissima struttura è sede dell’Ente Mostra di Pittura contemporanea che ha la funzione di promuovere l’attività artistico-culturale della città di Marsala. Le sue sale, che si affacciano su un incantevole chiostro interno, sono state dal 1996 degna sede sia di mostre di numerosi e prestigiosi artisti, tra cui ricordiamo Pomodoro, Corrado Cagli, Fausto Pirandello o Mario Sironi, sia di esposizioni sull’arte italiana e internazionale, come l’Arte in Sicilia negli anni Trenta o L’identità difficile – anni 50. L'Ente custodisce la Pinacoteca Comunale che, inaugurata nel 1988, conta oggi oltre 750 opere di artisti di prestigio nazionale ed internazionale fra i quali Cagli, Cantatore, Cassinari, Conti, Gentilini, Maccari, Marchegiani, Pomodoro, Sassu, Sironi, Tosi, Tozzi. Ente Mostra di Pittura Contemporanea Città di Marsala Piazza Carmine, 1 Tel./Fax 0923.711631 Orari di apertura: tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 18 alle ore 20. Ingresso: Libero